– DI UMBERTO BORELLINI
L’intelligenza secondo Einstein significava sapersi adattare, ma chi frequenta il nostro mondo deve anche tener conto di diverse, se così vogliamo definirle, “intelligenze”: quella cutanea, quella poli-sensoriale, l’intelligenza delle formulazioni cosmetiche, dello stile di vita e delle tecniche per esaltare la bellezza presente in ogni persona, unica e irripetibile.
Inutile ripetere che la pelle rappresenta le pareti della nostra “casa-corpo”, ovvero il nostro abito, ed è un organo intelligente, vitale, fisiologicamente importantissimo, nonché il più grande tra tutti gli organi. Oggi la smania di apparire porta le persone, influenzate anche da un’industria che spesso è la prima a non considerare questa intelligenza, a sottovalutare e trascurare l’esattezza naturale, quello che possiamo definire una bellezza imperfetta, al di fuori di ogni stereotipo. Mi riferisco, a quella bellezza che nasce dal profondo e che deve essere liberata da pesi e condizionamenti che spesso le donne, ma anche gli uomini, hanno voluto aggiungervi. La riflessione nasce spontanea: questa società esalta in modo spropositato un “bello” conforme alle leggi della moda e del mercato commerciale, ma, a livello semantico profondo, tendiamo a considerare la ricerca della bellezza quasi una colpa. Tutto ciò che è legato al miglioramento del proprio aspetto fisico che oggi viene molto spesso colpevolizzato e tacciato di superficialità.
Non si tratta di porsi come meta il corpo perfetto delle modelle o delle influencer che spopolano tra le più giovani. Anzi, in questa apparente immagine di bellezza “perfetta” si può nascondere un’ossessione estetica che non ha nulla a che vedere con la bellezza naturale.
Non è ricercando la perfezione estetica per piacere agli altri che troviamo il nostro equilibrio. Chi segue modelli imposti, dentro ha tanta solitudine.
Uno dei sentimenti di base della vita è proprio quello di riuscire, senza sovrastrutture o condizionamenti, a piacere a sé stessi. Star bene nei nostri panni aumenta la valutazione positiva di sé, l’accettazione e l’autostima. Il nostro corpo è il frutto di ciò che portiamo inconsciamente dentro di noi. Anche se le cure estetiche, le nuove tecniche e metodologie sono utilissime, non dobbiamo dimenticare, per ottenere buoni risultati, che il tutto deve svolgersi parallelamente alla conoscenza del proprio modello psichico. Per questo bisogna sempre rivolgersi a professionisti seri e ben preparati a cogliere le vere esigenze della persona. D’altra parte, in una società in cui sono andati quasi del tutto esauriti i bisogni primari, quello dell’apparire è un bisogno sempre più pressante (dal vivo e nei social network). Oggi si ha la necessità di essere visti e di farsi notare come un tempo si aveva bisogno di mangiare, respirare e dormire: l’ansia che attanaglia l’individuo non è la paura dell’ignoto, bensì il terrore di essere ignoti, ignorati e non riconosciuti.
Quindi, alla luce dell’analisi fatta fino qui, ritengo particolarmente interessante proprio “l’imperfezione”, ovvero qualcosa che faccia vibrare, emozionare, in cui ci si possa riconoscere. E sicuramente non ci si può riconoscere in qualcosa di artificiale, di costruito, di perfetto.
Il corpo non è scisso dalla psiche, quindi non può essere considerato un oggetto meccanico da portare a spasso. Quando si è compresa l’importanza della nostra soggettività, è meraviglioso mettersi a disposizione di quei professionisti dell’estetica che sono in grado di far emergere la nostra interiorità, la quale rappresenta l’unica vera protagonista dell’estetica e può essere bella solo se coincide con quell’autoconsistenza che fa identità e che ci permette di evitare la paura del giudizio altrui, così come il bisogno dell’altrui riconoscimento (dipendenza). Soltanto ora, e non prima, possono entrare in gioco i cosmetici o, meglio, i fisio-cosmetici, formulati per agire nel rispetto della fisiologia epidermica e dell’intelligenza cutanea.