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Un nuovo senso di appartenenza

Di Lorenzo Morelli

Quanta trasparenza ecredibilità si guadagnerebbe dalla creazione di un albo ufficiale e pubblico? Si potrebbe consultarlo – come accade oggi per medici e avvocati – così da orientarsi nella scelta dell’estetista, valutandone il profilo.

L’Italia ha una significativa tradizione di ordini professionali e associazioni di categoria, lascito dell’identità corporativa medievale. L’esercizio delle professioni disciplinate da ordini professionali è generalmente subordinato a un esame di abilitazione e all’iscrizione in un albo, pena il reato di esercizio abusivo della professione, ex art. 348 c.p.. In aggiunta, gli ordini impongono ai propri iscritti il rispetto di un codice deontologico, una formazione continua e il versamento di una quota annuale. Vantano un proprio ordine la maggior parte delle figure sanitarie – medici e odontoiatri, infermieri professionali, operatori delle professioni sanitarie – farmacisti, psicologi, ingegneri, architetti, geometri, giornalisti, periti di varie specialità. Complessivamente, in Italia, i professionisti iscritti agli albi superano due milioni di unità. A questi enti ad appartenenza obbligatoria, vigilati dallo Stato, si aggiungono associazioni professionali libere, con iscrizione su base volontaria, finalizzate a tutelare gli interessi degli iscritti e della categoria.

Da anni è aperto un dibattito pubblico sull’effettiva utilità degli ordini professionali. Se ne contesta l’animo conservatore, si prende di mira uno spirito sindacale che a volte è latitante: cosa dire dei giovani laureati, sovente bistrattati da anziani colleghi, con praticantati poco o punto pagati? È davvero indispensabile il lungo iter abilitante a cui i neolaureati sono sottoposti per poter esercitare la professione? A queste e altre accuse contro gli ordini professionali, si aggiunge la proposta di abolire il valore legale dei titoli di studio, lasciando che sia il mercato a selezionare le energie e le figure migliori. Critiche e proposte di orientamento liberale che, per formazione culturale, mi trovano astrattamente concorde, con due fondamentali riserve: la prima, di valutare ciascun caso preso a sé; la seconda, che tra la permanenza degli ordini professionali così come sono e la loro soppressione, vi sono misure intermedie. È il problema di buttare il bambino con l’acqua sporca.

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Queste perplessità non escludono, inoltre, che altre professioni possano trarre benefici dalla creazione di enti di rappresentanza organica. È il caso dell’estetica e del benessere, per più di una ragione. Un ordine professionale potrebbe potrebbe dare un ulteriore e significativo apporto nella lotta all’abusivismo, agire come gruppo di pressione sul decisore politico, investire nella comunicazione a tutela degli interessi di settore. A beneficiarne sarebbero imprenditori e operatori – quelli seri, s’intende, cioè la maggior parte – ma anche e soprattutto gli utenti. Quanta trasparenza e credibilità si guadagnerebbe dalla creazione di un albo ufficiale e pubblico? Si potrebbe consultarlo – come accade oggi per medici e avvocati – così da orientarsi nella scelta dell’estetista, valutando il profilo che dia maggiori garanzie di affidabilità in termini di formazione.

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